Mentre Gaza sta conoscendo da due anni un massacro inaudito quasi indescrivibile,
l’antisemitismo si sta diffondendo con forza in Europa.
Alla base dell’odio antisemita esiste un bias culturale difficile da sradicare: la difficoltà di
comprendere la differenza tra ebreo, sionista e israeliano (si rimanda, sul punto, a A. B.
Yehoshua, Ebreo, israeliano, sionista. Concetti da precisare, e/o, Roma, 2011).
Non solo: le difficoltà aumentano quando si affronta il tema del sionismo, dell’ebraismo
(definibile quale fenomeno religioso, storico, culturale o come un insieme di tutti i profili
elencati?) e di Israele, oggi chiamata, non senza un velo di critica, anche “entità sionista”.
E ancora, le ostilità si nutrono di stereotipi: gli ebrei – così come gli israeliani – sono ricchi,
sono bianchi e sono privilegiati e, quindi, non rientrano nell’orizzonte dei soggetti “target”
o, se vogliamo, tra i soggetti vulnerabili che meritano una forma di supporto e tutela.
Come è stato ben descritto, quello che, maggiormente, contraddistingue la fenomenologia
dell’antisemitismo non è l’odio per qualcosa che l’ebreo non è, ma per qualcosa che
l’ebreo è, per un surplus che l’ebreo detiene (D. Horvilleur Riflessioni sulla questione
antisemita, Einaudi, Torino, 2019, p. XIII).
La suggestione spiega molto bene le dinamiche dell’odio antisemita: esso si dirige verso il
“surplus” di sofferenza ed emarginazione di cui sono portatori – e, quasi, “richiedenti” – gli
ebrei dal 1945 e, a ben vedere, da tempi (lontanissimi) della diaspora.
Usi e costumi propri hanno da sempre (in particolare, per forza di cose, dopo l’invenzione
dei ghetti) portato gli ebrei a creare una “società” chiusa all’interno della società. Di qui
l’idea, stereotipata, del “diverso”.
Il “diverso-privilegiato” oggi viene, però, percepito come il carnefice: se il governo
israeliano sta compiendo orrori nella striscia di Gaza, è perché gli ebrei stanno
sublimando, forse, le loro sofferenze derivanti dalla tragedia dell’Olocausto per mezzo
dello sterminio dei gazawi.
Da vittime assolute per decenni gli ebrei si sarebbero trasformati in carnefici.
Di qui, un antisemitismo cieco che guarda alle vittime di ieri come agli assassini di oggi.
Solo che il governo di Israele nulla ha a che vedere con gli ebrei.
Solo che il governo di Israele non rappresenta gli israeliani (tanti, tantissimi) che nelle
piazze manifestano per la pace e contro il massacro della popolazione di Gaza ogni
giorno, tutti i giorni, dal 7 ottobre 2023.
Solo che il governo di Israele non ha punti di contatto con quelle donne e quegli uomini
uccisi o nascosti barbaramente da Hamas nell’ottobre di due anni fa.
Proprio per questa ragione, oggi, 7 ottobre 2025, non possiamo non ricordare il massacro
del 7 ottobre 2023, ben consapevoli della tragedia che sta vivendo il popolo di Gaza.
Fare questa operazione di ricordo costruttivo è un modo per andare oltre l’odio
riconoscendo l’importanza del rispetto della dignità di tutti: israeliani, palestinesi, Gazawi.
Ora che la pace, forse, si sta avvicinando, ricordare il 7 ottobre 2023 e gli ostaggi
pensando anche a Gaza e alle vite che ha perso e che sta perdendo è l’esercizio di
umanità e di contro-narrazione all’odio forse più intellettualmente onesto che ci sia.
