L’approvazione del ddl Cirinnà in Senato ha messo in luce le alleanze, le strumentalizzazioni e le contraddizioni della politica italiana sul tema delle unioni civili. Nell’attesa che passi anche alla Camera, dove l’iter sembra “più rapido e sicuro”, Massimo Clara, avvocato e uno dei fondatori di Vox, commenta dinamiche, compromessi e i tentativi di ostruzionismo. E spiega che la strada verso il matrimonio egualitario è ancora lunga (ma percorribile).
Il disegno di legge è passato al Senato, alla Camera è prevista un’ approvazione rapida e sicura. Bene, è un risultato positivo: non il risultato migliore, che era e resta il matrimonio egualitario poiché non vi è ragione per discriminare fra le coppie che si amano, ma il miglior risultato possibile nella situazione parlamentare attuale.
Molti diritti, per la prima volta, sono stati riconosciuti.
Piacciano o meno, i numeri sono il meccanismo genetico della democrazia, ed una maggioranza parlamentare è fatta – appunto – di numeri. Sarebbe stato possibile un esito diverso? No. A parole il M5S ha dichiarato di condividere il progetto delle Unioni Civili, e votandolo avrebbe portato a casa anche il risultato delle maggioranze variabili sui singoli temi. Ma avrebbe dovuto votare il “canguro”, e all’ ultimo momento ha deciso per il no. È stata una scelta politica: pur di tentare (fortunatamente a vuoto) di infliggere una sconfitta a Renzi e al governo, i pentastellati hanno deciso che le loro promesse elettorali vanno cestinate. Inaffidabili, non è la prima volta e non sarà l’ ultima.
Gli avversari delle Unioni Civili erano diversi, dislocati in modo vario, chi esplicito e chi no, ma potevano facilmente riconoscersi dal mantra recitato: “andiamo in aula, votiamo tanti emendamenti”. Migliaia prima, centinaia poi, emendamenti che stavano fisicamente a dimostrare il velleitarismo dell’ espressione “dibattito parlamentare”, contavano l’ ostruzionismo mediatico per la platea, ed il tentativo dietro le quinte di finire nella palude dei tempi biblici, un cavillo, un voto segreto e tutto si affossa.
Istituzionalmente è pessimo vedere l’ aula ridotta ad avanspettacolo, ma è successo, il consenso populista conservatore si costruisce anche con le urla e le contumelie, maggior volgarità dà maggior visibilità, e non parlo delle offese portate alle persone lgbt – giustamente indignate – solo perché chi insultava (compreso un ministro) non merita citazione.
La legge Cirinnà nasce con molti limiti. Non prevede esplicitamente la stepchild adoption (ma la giurisprudenza continuerà a fare quanto già faceva), esclude l’ obbligo di fedeltà che è sì un anacronismo, ma in questo caso il messaggio è oltraggioso, gli lgbt sono fedifraghi.
Non c’era un’ alternativa “giudiziaria”. I giudici hanno già riconosciuto molti diritti, ma la Corte Costituzionale ha detto e ripetuto che l’ esclusione del matrimonio per le coppi same-sex non è incostituzionale. Mi dispiace, sono di parere opposto, ma il giudizio che fa stato è quello.
Dunque, o così o niente, il niente che tanto piaceva a Giovanardi & Co. Dunque, va bene così.
Senza trionfalismi: la strada è ancora lunga, ma per la prima volta in Italia il muro dell’ omofobia normativa è stato rotto. Come avvenne per il divorzio, al primo passo ne seguiranno molti altri.
P.S. Una bella analisi giuridica è quella di Marco Gattuso, la trovate su Articolo29.