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Diritti / Redazione /

Il Consiglio d’Europa ha riconosciuto che l’Italia viola il diritto all’aborto

Lunedì 11 aprile la Corte d’Europa ha riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che intendono interrompere la gravidanza. L’annuncio, segue il reclamo presentato dal Segretario nazionale della CGIL Susanna Camusso, assistita dalla co-fondatrice di Vox Marilisa D’Amico e dall’avvocato Benedetta Liberali. Vediamo nel dettaglio che cosa dice la decisione presentata dal Consiglio d’Europa, le motivazioni e le violazioni che anche Vox ha denunciato negli anni scorsi.

A seguito del Reclamo collettivo n. 91 del 2013 presentato da Susanna Camusso, Segretario nazionale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, assistita dall’Avv. Prof. Marilisa D’Amico, Ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano, e dall’Avv. Benedetta Liberali, e dopo la pubblica udienza che si è svolta presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il 7 settembre 2015, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha nuovamente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che – alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 – intendono interrompere la gravidanza e ha accertato anche la violazione dei diritti dei medici non obiettori di coscienza, a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza e della disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni.

La legge 194/1978 infatti prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale e le Regioni debbano sempre garantire il diritto di accesso all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero, sempre crescente come dimostrano i dati forniti dalla CGIL nell’ambito del giudizio davanti al Comitato Europeo, di medici obiettori, molte strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico un numero adeguato di medici che possono garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge.

Il riconoscimento di queste violazioni, a distanza di ormai due anni dalla prima condanna del Comitato Europeo nei confronti dell’Italia (decisione dell’8 marzo 2014 sul Reclamo collettivo n. 87 dell’organizzazione internazionale non governativa International Planned Parenthood Federation European Network), è una vittoria per le donne e per i medici, ma anche per l’Italia: essa costituisce una importante occasione affinché si prenda finalmente coscienza dei problemi concreti di applicazione della disciplina (definita dalla Corte costituzionale quale regolamentazione irrinunciabile), finora del tutto disconosciuti dal Ministero della Salute che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile.

COSA DICE LA DECISIONE DI MERITO SUL RECLAMO COLLETTIVO N. 91 del 2013.

  1. Il Comitato Europeo ha deciso il merito del Reclamo collettivo n. 91 del 2013, riconoscendo il permanere dello stato di violazione degli artt. 11 (Diritto alla salute) ed E (Non discriminazione) della Carta Sociale Europea (trattato internazionale che insieme alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo completa il sistema di riconoscimento e garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo, al cui rispetto l’Italia è tenuta alla luce dell’art. 117, primo comma, della Costituzione).
    In particolare il Comitato Europeo riconosce il permanere della violazione del diritto alla salute delle donne (che non riescono ad accedere alle condizioni previste dalla legge n. 194 al trattamento interruttivo di gravidanza) e del principio di non discriminazione (in ragione della discriminazione di ordine economico e territoriale che si determina a seconda delle condizioni personali delle donne).
  1. La violazione dei diritti dei medici non obiettori di coscienza viene riconosciuta rispetto agli artt. 1, comma secondo (Diritto al lavoro), e 26, comma secondo (Diritto alla dignità sul lavoro) della Carta Sociale Europea.
    Con riguardo all’art. 1, comma secondo, della Carta Sociale Europea, il Comitato Europeo ne riconosce la violazione nella parte in cui la disposizione impone di eliminare ogni tipo di discriminazione sul luogo di lavoro. In particolare, si riconosce che la CGIL ha fornito ampia dimostrazione del fatto che i medici non obiettori di coscienza affrontano un insieme di svantaggi sul posto di lavoro sia diretti sia indiretti, in termini di carico di lavoro e prospettive di carriera, mentre il Governo italiano non è stato in grado di dimostrare il contrario.
    Con riguardo all’art. 26, comma secondo, della Carta Sociale Europea, il Comitato Europeo riscontra la sussistenza di molestie di tipo morale subite dai medici non obiettori di coscienza, rispetto alle quali il Governo italiano non ha dimostrato di avere posto le misure necessarie per evitarle.

 

Scarica il documento con il giudizio della Corte d’Europa.

Scritto da: Redazione

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