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Parità / Redazione /

Bologna: all’Unibo lezioni contro il femminicidio

Insegnare agli studenti il rispetto della persona, dei diritti umani e soprattutto della donna. Da queste premesse nasce all’Università di Bologna “La violenza contro le donne”, il primo corso obbligatorio sulla violenza di genere. 15 lezioni per sensibilizzare gli studenti del corso di Filosofia su un fenomeno che solo in Italia ha contato, nel 2013, più di 6 milioni di vittime di età compresa tra i 16 e i 70 anni. Previsti, tra gli altri, interventi di esperti: dal filosofo Remo Bodei, alla scrittrice Dacia Maraini, dal giurista Luigi Foffani, alla teorica del femminismo Lea Melandri. VOX, Osservatorio Italiano sui Diritti, ha intervistato le professoresse Annarita Angelini, Presidente del Corso di Laurea in Filosofia, e Valeria Babini, Responsabile scientifica del Corso, per scoprire obiettivi e sviluppi di questa importante iniziativa.

 

Ci parli del corso. Quali sono gli obiettivi? Cosa viene insegnato agli studenti del seminario?

Il corso prevede un obbligo di frequenza e una prova finale con crediti formativi: coprirà parte dello spazio didattico previsto per attività essenziali alla formazione del laureato-cittadino, indipendentemente dall’indirizzo di studi scelto. L’obiettivo del corso è quello di affrontare il fenomeno della violenza sulle donne in modo da fare luce non solo sull’”emergenza” che rappresenta, ma anche sul contesto culturale che quell’emergenza ha nutrito e permesso.  In questa scelta ci ha guidato la convinzione che per contrastare con efficacia questo fenomeno occorra un’analisi della mentalità sedimentata, diffusa, sottilmente connivente, che tollera abusi, violazioni, relazioni di potere diseguali, o li relega alla sfera dei comportamenti privati o degli impulsi improvvisi e imprevedibili. Al corso, diretto da Valeria Babini, docente di Storia della psicologia, prendono parte filosofi (Remo Bodei), sociologi (Fabrizio Battistelli), psicoanalisti (Marianna Bolko), teorici del femminismo (Lea Melandri) e della identità di genere, anche maschile (Alessandro Bellassai), scrittori (Dacia Maraini), giornalisti (Daniela Minerva), giuristi (Luigi Foffani, Marco Balboni, Milli Virgilio), storici (Adriano Prosperi), operatori dei centri anti-violenza (Giuditta Creazzo), linguisti (Cecilia Robustelli).

 

L’Università di Bologna è una delle poche, in Italia, ad offrire nei propri curricula corsi dedicati agli studi sul genere. Pensa che grazie a questi studi si possano intraprendere attività di prevenzione verso la violenza di genere?

L’attenzione delle istituzioni dello Stato e dell’opinione pubblica – che pure in questi ultimi anni non è mancata – si è rivolta prevalentemente alla violenza agita. Ciò è essenziale, ma non basta, sia perché gli atti criminali denunciati sono una parte minima di quelli effettivamente compiuti, sia perché una strategia efficace per contrastare un fenomeno deve intervenire anche interrogandosi sulle condizioni del suo profondo radicamento. La violenza, un problema di civiltà è stato il motto che abbiamo scelto per il nostro corso ed esprime bene il compito che spetta nel percorso di formazione di ogni cittadino. Non basta punire crimini, abusi, prevaricazioni, discriminazioni; è necessario cercare di prevenirli. Per farlo occorre promuovere la costituzione di un pensiero e di una civiltà fondati sul rispetto delle persone e dei diritti umani.

 

Avete in programma iniziative collaterali o successive al corso? Coinvolgerete anche il territorio?

Contiamo di organizzare un corso analogo, per il prossimo anno accademico. Intanto, d’intesa con la Scuola di Lettere e Beni Culturali, renderemo le lezioni di quest’anno fruibili anche a distanza sulla rete web così da aprire il corso al pubblico potenziale dei cittadini. Insieme ad associazioni studentesche, che si sono proposte per una collaborazione, prevediamo di organizzare una giornata di studio e di discussione che dovrebbe cadere intorno all’8 marzo. Questa proposta di collaborazione da parte degli studenti è per noi particolarmente importante.

 

Per quale motivo l’Università ha sentito l’esigenza di intervenire nella lotta al femminicidio con un corso? Si può considerare una sorta di risposta allo scarso impegno intrapreso dalle istituzioni?

Nessuna istituzione può e deve sostituirsi ad altre. Ciascuno ha i propri compiti. L’università (e più in generale la scuola) è l’istituzione preposta alla formazione e alla trasmissione dei saperi e della cultura. Ci è parso che fossero scaduti i tempi dell’attesa di ulteriori provvedimenti legislativi o di puntuali sollecitazioni ministeriali e abbiamo provato a cominciare da noi. Ci stiamo provando senza presunzioni, ma mettendo insieme le forze e proponendo una riflessione aperta al dialogo tra studenti e docenti. Non abbiamo avuto sollecitazioni interne, ma, una volta partite, abbiamo trovato un’ottima accoglienza da parte dei vertici dell’istituzione universitaria: il Preside della Scuola, il Rettore, il Ministro Carrozza. Potrebbe aver giocato a nostro favore la novità che il corso rappresenta; ma per noi quello dell’esclusiva sarebbe un amaro privilegio. Ci auguriamo piuttosto che iniziative analoghe possano sorgere in altri atenei e assumano forme sempre più articolate e istituzionali.

Scritto da: Redazione

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