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Parità / Redazione /

Quote rosa anche per le avvocate?

Dei 20.000 iscritti all’Albo, secondo l’Ordine degli Avvocati di Milano, 10500 sono uomini e 9500 sono donne. Una parità, solo apparente: solo il 30% delle avvocate è infatti socia o titolare di uno studio legale. A far luce sulla situazione è un libro, Avvocate, sviluppo e affermazione di una professione (Franco Angeli editore) di Ilaria Li Vigni, avvocato penalista e Presidente del Comitato Pari Opportunità presso l’Ordine degli Avvocati di Milano.

Da dove nasce l’esigenza di scrivere un libro sulle quote rosa nell’avvocatura?

Nasce dall’idea, dopo anni di impegno nel Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Milano e nella Commissione Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Forense, di rappresentare alle Colleghe, ai Colleghi e anche ai non addetti ai lavori, come la distribuzione dei ruoli e delle posizioni all’interno del sistema di potere in generale, e quindi anche nel mondo della professione forense, tenda ancora oggi a valorizzare, spesso indebitamente, la componente maschile.
Infatti, nonostante sia dato ormai acquisito che le donne conseguano risultati più elevati nello studio e nella formazione, le stesse non ottengono altrettanti successi nell’attività professionale: in media accettano più bassi livelli di compenso e approdano più difficilmente a posizioni di partnership nelle realtà professionali.
E’ un dato molto significativo il fatto che in Italia (ed in specifico con riferimento a dati dell’Ordine degli Avvocati di Milano) solo il 30% delle avvocate (a fronte del 70% degli avvocati) sia socia o titolare di uno studio legale.
Inoltre le avvocate si specializzano molto spesso in materie di scarso ritorno economico, diritto di famiglia e diritto minorile, rimanendo così confinate in ruolo di “aiuto sociale” di certo importante, ma decisamente limitante per quanto riguarda le possibilità di guadagno.

 

Come spiega l’aumento del numero di donne nelle professioni giuridiche?

Il numero delle avvocate è aumentato lentamente a partire dagli inizi degli anni Ottanta ma è dagli inizi degli anni Novanta che si evidenzia un crescendo esponenziale della presenza femminile nell’avvocatura. Pensiamo che, secondo l’Ordine degli Avvocati di Milano, su 20.000 iscritti all’Albo, 10500 sono uomini e 9500 donne, con queste ultime in costante crescita annuale e prossime al “pareggio numerico”.
Spiego la rapidità con cui è aumentato il numero delle Avvocate (mi piace chiamarle così, con un “femminile professionale” riconosciuto anche dall’Accademia della Crusca) con un vivo interesse delle giovani per le materie giuridiche e con un’indubbia competenza delle donne, in cui precisione, abnegazione e spirito di servizio sono davvero fondamentali per lo studio e la riuscita nella professione.
Il numero delle avvocate è in crescita, insomma e molte di loro sono indubbiamente preparate.

 

La nuova riforma forense, entrata in vigore nel febbraio 2013, ha disposto, tra le altre cose, un incremento della partecipazione femminile negli organismi dirigenziali dell’avvocatura. Tuttavia, ancora oggi, si registra una bassa rappresentanza delle donne nei ruoli di potere e di rappresentanza. Come lo spiega?

I dati recenti del Consiglio Nazionale Forense sono abbastanza allarmanti:  riferiscono la presenza di 15 Presidenti, 43 Segretarie e di 45 Tesoriere e di circa 500 consigliere nei 165 Consigli degli Ordini Avvocati in Italia.
Pertanto, anche sotto il profilo della rappresentanza delle donne nelle istituzioni forensi, si deve registrare il dato secondo cui le donne, pur avendo un alto grado di preparazione e professionalità, non riescono ad entrare nelle stanze dei bottoni e vengono in genere escluse dai luoghi e ruoli di potere e di rappresentanza.
La nuova Riforma Forense prevede che, negli Ordini locali nel Consiglio Nazionale Forense e nei nuovi Organismi distrettuali disciplinari, le elezioni debbano rispettare l’equilibrio tra i generi: è certamente un passo avanti, al di là del tecnicismo della materia, ma il vero problema non è solo normativo, ma anche culturale.
Le avvocate devono imparare a farsi conoscere, impegnandosi nelle istituzioni locali e nazionali svolgendo politica forense, superando le insicurezze e non autoescludendosi: in questo modo la parità istituzionale sarà davvero effettiva, con un rilevante beneficio per tutta l’Avvocatura che, come molte altre professioni, ha difficoltà allo stato ad affermarsi in un mercato confuso e disordinato.
Credo quindi che la parità istituzionale anche con l’ausilio delle nuove norme vada, in ogni caso, conquistata.

Scritto da: Redazione

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