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Diritti Sociali / Redazione /

Dai bisogni ai diritti: le persone disabili oggi

E’ notizia di pochi giorni fa che l’entusiasmo del Governo italiano nei confronti degli atleti paralimpici italiani vittoriosi a Londra nel 2012 sembra essersi spento drammaticamente. A dimostrarlo il taglio di ben 700 mila euro ai fondi relativi allo sport per le persone diversamente abili, che vanno a sommarsi agli oltre 2 milioni di euro già tolti a inizio anno.

Purtroppo lo sport, anche in questo caso, è specchio di un atteggiamento diffuso su larga scala nei confronti delle persone disabili, soprattutto in momenti di crisi economica.

Come passare quindi dai bisogni ai diritti? A 10 anni dall’anno internazionale delle persone con disabilità, Franco Bombrezzi, presidente di Ledha – Lega per i diritti delle persone con disabilità, ripercorre per VOX la storia sociale della disabilità in Italia, tra crisi economica e famiglia.

 

I diritti delle persone con disabilità dipendono in larga misura dalla consapevolezza che tali diritti esistono e sono in qualche misura esigibili. Nel nostro Paese è solo di recente (a far data ideale dal 2003, anno internazionale delle persone con disabilità) che si è passati dal tema dei bisogni a quello dei diritti.

Dalla menomazione ai servizi di cura: le battaglie per le persone disabili

La storia sociale della disabilità in Italia parla di un lungo periodo di battaglie (molte delle quali vinte) imperniate su una visione risarcitoria della menomazione. In presenza di un deficit fisico, sensoriale o mentale si chiedeva allo Stato di corrispondere somme di denaro, sotto forma di pensione di invalidità, o di indennità di accompagnamento, e di accedere a posti di lavoro “obbligatorio”, indipendente dunque dal merito e dalle capacità. In questa lunga fase, dominata dall’agire quasi sindacale delle associazioni storiche di categoria, sono nate le prime leggi sul collocamento lavorativo e sull’invalidità civile, portando con sé i germi di una difficile conversione, in tempi recenti, in direzione di una moderna e consapevole cultura dei diritti. Le associazioni più recenti, infatti, sono nate e hanno agito prevalentemente in funzione di tutela dei servizi di cura, di riabilitazione e di ricerca clinica e genetica partendo da singole patologie, o situazioni parentali ben definite. In questo caso il risultato massimo ottenuto sono le leggi relative alla presa in carico riabilitativa, il nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili, le prestazioni socio-assistenziali, i servizi di cura. Solo dal 2003 in poi i due filoni di emancipazione del mondo della disabilità sono progressivamente confluiti in una moderna politica di difesa dei diritti, a partire dalla persona.

I diritti della persona: la nascita della Fish

Esemplare in questo contesto la nascita e la progressiva crescita aggregativa della Fish, la Federazione Italiana per il superamento dell’handicap, che oggi rappresenta oggettivamente non un contraltare al blocco delle associazioni storiche rappresentate dalla Fand, ma un vero e proprio laboratorio culturale dell’innovazione e della sperimentazione dei principi contenuti nella Convenzione Onu. Pur nelle evidenti difficoltà derivanti dal complesso sistema politico e legislativo italiano, gli ultimi quindici anni hanno portato a maturazione e hanno consolidato alcuni filoni principali: la tutela dei bambini con disabilità, attraverso lo strumento della diagnosi e della presa in carico; l’inclusione scolastica, che rappresenta tuttora un fiore all’occhiello della legislazione italiana; l’inserimento lavorativo, andato però nel tempo in crescente difficoltà; il diritto alla mobilità personale nei contesti urbani e di viaggio; il diritto alla pratica sportiva e al tempo libero.

Gli effetti della crisi economico-finanziaria

La crisi economico-finanziaria e l’appesantimento della spesa pubblica hanno comportato negli ultimi anni un peggioramento sensibile della percezione dei diritti, ma persino della dignità delle persone con disabilità. La dissennata campagna condotta partendo dallo slogan della lotta contro i “falsi invalidi”, lungi dal condurre a risultati ecclatanti in termini di riduzione di un fenomeno rivelatosi marginale nei numeri, e spesso localizzato territorialmente (oltre che determinato da situazioni storiche riconducibili ai tempi delle politiche “risarcitorie”) ha comportato un ulteriore stigma nei confronti delle persone con disabilità in generale, dei ciechi e degli ipovedenti in particolare, costringendo centinaia di migliaia di persone con disabilità vera e certificata da tempo, a ulteriori e talvolta vessatori controlli da parte delle commissioni mediche, con il ruolo dell’Inps determinante per perseguire ad ogni costo l’obiettivo di una riduzione della spesa complessiva. La crisi dell’economia ha indebolito fortemente la possibilità di puntare con decisione a standard accettabili di inclusione lavorativa: i dati resi noti di recente sono inaccettabili per un Paese che si colloca fra le prime dieci potenze mondiali. L’espulsione dal mondo del lavoro rischia di compromettere una visione di progresso e di empowerment delle persone con disabilità e delle loro famiglie e di rilanciare con forza modelli di welfare basati sull’assistenza, sul volontariato, sulla residenzialità a basso costo, sulla compressione dei servizi e delle agevolazioni per l’acquisto di ausili in grado di garantire una vita autonoma e indipendente.

La complicata funzione delle famiglie

Le famiglie, in questo contesto di impoverimento progressivo, che sembra inarrestabile, scontano doppiamente gli effetti dell’imposizione fiscale e della continua e crescente richiesta di partecipazione alla spesa per servizi ritenuti non essenziali, e a questo punto nella sfera dei diritti essenziali sembra che si collochino solo quelli strettamente riferiti alla sfera sanitaria e riabilitativa. Si andrà dunque verso una nuova e deprecabile sanitarizzazione della disabilità? In tal caso dai diritti si tornerà ai bisogni, e dai bisogni alle concessioni dall’alto (poco importa se dallo Stato o dalle singole Regioni), rischiando di vanificare il lavoro di almeno vent’anni di cultura associativa e politica (positivamente trasversale) che ci aveva fatto sperare in un processo inarrestabile di inclusione sociale delle persone con disabilità.
Ho volutamente trascurato numeri e statistiche, preferendo rimandare per questo aspetto alla consultazione di un nuovo servizio internet realizzato da Fish: nel sito www.condicio.it è infatti possibile accedere facilmente a schede di sintesi sulla realtà numerica che rende ancor più evidente l’andamento dei diritti, che senza adeguate risorse, e senza una stabilizzazione di sistema, rischiano di essere nuovamente una aspirazione ideale, collocata in una dimensione temporale indeterminata, e non un processo lento ma continuo e tangibilmente controllabile ogni giorno dalle persone con disabilità.

Franco Bomprezzi
Giornalista, presidente di Ledha – Lega per i diritti delle persone con disabilità

Scritto da: Redazione

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