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Parità / Redazione /

Gli edifici di culto e il caso Lombardia

In Lombardia vi è una legge regionale che rischia di pregiudicare l’uguaglianza fra le confessioni religiose e la libertà di coscienza degli individui.

Si tratta delle “norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi” contenute nella “legge sul governo del territorio” n. 12 del 2005. In effetti, tali norme, comunemente definite “anti-minareti”, rendono particolarmente difficoltosa l’apertura di luoghi di culto per le confessioni religiose diverse da quella cattolica.

 

DISPARITA’ DI TRATTAMENTO E FINANZIAMENTO

In particolare la legge richiede, per la realizzazione di luoghi di culto non cattolici, che la confessione abbia una “presenza diffusa, organizzata e stabile sul territorio” e impone la previa stipulazione di un’apposita convenzione con il Comune interessato. Nulla di simile è previsto, invece, per la realizzazione di Chiese cattoliche. Oltre all’evidente disparità di trattamento, la norma si pone in difficile equilibrio con l’art 20 della Costituzione, secondo il quale “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative”.

La legge inoltre, prevede che i finanziamenti destinati alle comunità religiose e le aree individuate dal Comune ad accogliere edifici di culto vengano ripartite fra gli enti che ne abbiano fatto richiesta “in base alla consistenza ed incidenza sociale delle rispettive confessioni”.

Facile intuire che la principale destinataria dei finanziamenti e degli spazi sia la Chiesa Cattolica, che senza dubbio, non teme rivali in termini di “consistenza e incidenza sociale”. Se può condividersi un’impostazione che attribuisca finanziamenti proporzionalmente più elevati sulla base della “consistenza ed incidenza sociale” delle associazioni ed enti cattolici all’interno del territorio del Comune interessato, è necessario ricordare come l’argomento quantitativo, che per lungo tempo ha giustificato politiche di favore nei confronti della Chiesa Cattolica, sia stato da lungo tempo abbandonato dalla Corte costituzionale, secondo la quale è da considerarsi: “ormai inaccettabile ogni tipo di discriminazione che si basasse soltanto sul maggiore o sul minore numero degli appartenenti alle varie confessioni religiose” (Corte cost. sent. n. 925 del 1988).

Le comunità religiose che non riescano ad accedere agli spazi destinati dai Comuni alla realizzazione di edifici di culto, non riescono neanche ad esercitare il loro credo in altri luoghi, poiché la legge vieta la conversione a uso di culto di locali costruiti con altre finalità.

La legge, dunque, non solo opera una discriminazione irragionevole tra confessioni religiose, in violazione del principio di eguaglianza formale e di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.) e del principio di eguaglianza tra tutte le religioni (artt. 8 e 20 Cost.), ma rendendo particolarmente difficile la realizzazione dei luoghi di culto, pregiudica il diritto alla libertà di professare liberamente il proprio credo religioso, che l’articolo 19 Cost. garantisce in forma individuale e collettiva.

 

IL CASO GORLE E LA SCELTA DI MILANO

Le conseguenze della legge sono evidenti. Si pensi che, solo nella provincia di Bergamo, sono state chiuse nell’ultimo anno e mezzo tre comunità evangeliche e un centro islamico aperto in una vecchia officina. Il caso più recente riguarda il Comune di Gorle che ha ordinato la chiusura e la confisca per abusi edilizi di una chiesa pentecostale nigeriana. Il provvedimento è stato tempestivamente sospeso dal TAR di Brescia.

Delle difficoltà che incontrano le piccole comunità religiose in Lombardia, è conscio il Comune di Milano che prendendo atto della nuova società multi-religiosa, sta istituendo “L’Albo delle associazioni e organizzazione religiose” al fine di favorire il dialogo interreligioso e fra l’amministrazione e le diverse comunità religiose presenti sul territorio cittadino. L’Albo ha anche lo scopo esplicito di “fornire supporto per l’esecuzione delle disposizioni previste dalla legge regionale n. 12 del 2005” e “facilitare la partecipazione a procedure pubbliche per la destinazione di strutture o aree demaniali per servizi religiosi.”

Gli sforzi dell’amministrazione comunale sono sicuramente apprezzabili, ma l’intervento del Comune rimane comunque limitato alle proprie competenze e ai vincoli posti dalle leggi regionali e statali.

Se si pensa che la disciplina della libertà religiosa delle confessioni prive di un’intesa con lo Stato è tutt’oggi rimessa  alle norme fasciste del 1929 sui “Culti ammessi”, ci si rende conto che la strada verso l’uguaglianza fra le religioni e un’effettiva libertà di coscienza degli individui, è ancora lunga.

Scritto da: Redazione

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